Il 30 agosto è andata in stampa l’edizione 2024 di Slow Wine.
Vi mostriamo la nuova copertina e riportiamo qui sotto l’introduzione alla guida, redatta dal curatore Giancarlo Gariglio.
Sono 2.006 storie di vita, ognuna delle quali è condensata in circa 1.800 battute. Sfogliare questa guida dà le vertigini: è un po’ come quando da bambini disegnavamo piccole vignette nell’angolo destro del quaderno e poi con rapidità facevamo scorrere le pagine. Rimanevamo incantati e sbalorditi, perché avevamo creato un cartone animato. La stessa cosa può accadere se scorriamo le 1.152 facciate di Slow Wine 2024: quanti numeri ci colpiscono, quanti dati, quanti nomi di donne, di uomini, di vigneti e di vini. Una sorta di valanga che ci sommerge. Ma alla fine è una bella sensazione, perché tra le mani possiamo stringere la fotografia di uno dei patrimoni culturali ed economici di cui possiamo andare più fieri in Italia. Tutti noi che abbiamo contribuito ai successi del settore dobbiamo provare orgoglio. Certo i vignaioli sono i protagonisti numero uno di questo film, ma nessuno dei tanti appassionati di vino si senta una comparsa. Senza coloro che hanno creduto in un certo tipo di agricoltura ed enologia non saremmo qui dove ci troviamo ora, ma non lo saremmo neppure senza chi ha appoggiato – attraverso l’acquisto, la promozione e il testardo racconto – questa rivoluzione. Siamo una comunità, siamo moltitudini e per parafrasare il grande Walt Whitman siamo vasti e talvolta ci contraddiciamo.
È normale, ma siamo anche dei piantagrane e degli idealisti, e per questo vorremmo sempre di più. Vorremmo ad esempio che il cittadino comune percepisse il baratro climatico sui cui stiamo camminando. Le vignaiole e i vignaioli lo hanno abbondantemente compreso grazie a un 2023 dalle condizioni che definire avverse ed eccezionali è dir poco: grandinate distruttive ed estese come non mai, ondate di calore che hanno accartocciato le foglie delle viti, peronospora che ha dimezzato la produzione di intere regioni, flavescenza che sta cancellando la coltivazione di alcune varietà, insetti importati da altri continenti contro i quali non sappiamo come comportarci. Siamo dei folli perché ci piacerebbe che l’appassionato comprendesse come l’Italia tutta vada valorizzata e conosciuta, non fermandosi alle solite blasonate denominazioni, e osservasse territori che vivono l’età dell’oro – con preoccupanti speculazioni finanziarie – e altri dove si spianta perché non si rientra neppure dei costi di produzione. Siamo degli anticonformisti perché riteniamo che un numero non potrà mai condensare la potenza del racconto, e quindi diciamo no ai punteggi e invitiamo i nostri lettori a superare il dogma dello stile unificante, che rende tutto più perfetto, ma tutto molto, ma molto, più noioso. Siamo dei ribelli perché cerchiamo di convincervi come non sia giusto che le uve siano coltivate nei campi da persone sfruttate e sottopagate, e che i vini siano bevuti da ristretti circoli di danarosi appassionati, mentre una massa di consumatori è invogliata e costretta – per scarsa disponibilità economica – a consumare vini banali e sottocosto, confezionati da industrie che giocano perlopiù sul marketing. Pertanto non ci diamo per vinti, non accettiamo lo status quo. Questa comunità, a cui sentiamo di appartenere, sta cambiando il mondo, forse troppo lentamente dirà qualcuno, ma se ci guardiamo indietro, anche di poco, ad esempio di quattordici anni (quando nasceva Slow Wine), ecco che le luci superano di gran lunga le ombre.
E così ci pare di riascoltare le parole di Dario Fo nel celebre spot della Apple: questa guida la dedichiamo ai folli innamorati del vino, alle vignaiole e ai vignaioli che danno prova di anticonformismo ed escono dal seminato per rincorrere il loro vino, ai ristoratori ribelli che servono quello che piace a loro, ai giornalisti piantagrane che scrivono ciò che realmente pensano, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso e ritengono che un altro vino sia possibile.
Giancarlo Gariglio